mollette

una discontinua rubrica sui cazzi miei

enjoy

insoddisfazioni di fine gennaio

Mentre tento di dare un senso alla mia vita come ciclicamente sono costrettx a fare, eccomi per la prima volta su questi schermi a esprimere due parole sulle cose che sto vedendo e leggendo in questo periodo perché mi ritrovo, amaramente, delusx. Parlerò, in particolare, di un libro, un film e una serie.

chapter 1: A little life, or fangirl vibes in total tragedy

Era da tempo che un libro non mi coinvolgeva così tanto come Una vita come tante, ma, dopo mesi di lettura e struggimento - il romanzo è rinomatamente straziante - questo coinvolgimento sta assumento tinte morbose e rabbiose. Morbose perché ormai non riesco a staccarmi dal libro nonostante queste ultime pagine mi stiano facendo venire voglia di staccarmi gli occhi dalle orbite e rabbiose perché, per l'ennesima volta, l'incapacità di porre un punto a un'opera di fantasia rovina l'opera stessa.
Quello che fin da subito ho amato del romanzo è stata la sua capacità di farmi immergere nella vita dei personaggi, quasi fossero persone in carne ed ossa con cui io stessx stavo condividendo un pezzo di vita. Il racconto della loro quotidianità ininfluente sullo sviluppo della trama mi ha permesso, pagina dopo pagina, di conoscerli sempre meglio. Ogni racconto aggiungeva un tassello alla loro comprensione e la loro caratterizzazione è meravigliosamente tridimensionale. Nel corso delle pagine, un personaggio si fa lentamente strada ed assume il ruolo di protagonista: Jude St. Francis, un ragazzo e poi adulto profondamente traumatizzato da un passato di pesanti abusi sessuali e per questo incapace di aprirsi e perfino di darsi la possibilità di stare meglio, convinto di meritare tutto il brutto che gli è successo e continua a succedergli.
La struttura del romanzo è interessante: per quanto gli eventi si susseguono lineari nel corso del tempo e raccontino il passaggio dall'adolescenza alla vita adulta dei suoi protagonisti, l'autrice va avanti e indietro nel tempo con flashback o flash forward che illuminano il presente con aggiunte e approfondimenti. Un romanzo raffinato, delicato, struggente, almeno fino alla prima metà, mi permetto di affermare.
L'impressione, infatti, è che a un certo punto l'autrice si sia semplicemente lasciata andare al racconto scabroso del passato del suo protagonista e abbia lasciato che le vicende continuassero a dispiegarsi per inerzia, salvo aggiungere un elemento nella trama che la mia parte fangirl sperava arrivasse, ma che il mio cervello e il mio cuore si auguravano che non succedesse, per rispetto del romanzo, non dellx me sedicenne che ancora risiede da qualche parte nel mio corpo. ERA PROPRIO NECESSARIO CHE JUDE E IL SUO MIGLIORE AMICO STORICO SI METTESSERO INSIEME? Questo idillio che sembra donare finalmente un briciolo di pace e serenità a Jude dà il sapore al romanzo di una fanficion un po' stantia. E così io mi ritrovo improvvisamente a sopportare pagine e pagine di questi due che vivono il loro idillio di codipendenza nella loro casa extralusso - nonché nelle loro mille altre case in varie parti del mondo perché ovviamente tutti i protagonisti si arricchiscono così tanto grazie alle loro passioni che passano la loro intera esistenza girando tra una città e l'altra del globo per lavoro e per piacere senza sosta. Mi permetto una parentesi su questo. Capisco che in un romanzo tu puoi farci il cazzo che ti pare, palesemente pure l'autrice si è innamorata profondamente dei suoi personaggi - e meno male - da volere per loro il meglio del meglio, ma il racconto di queste vite lussuose e ricchissime un po' di fastidio mi dà. Non solo perché, dai, quante probabilità c'erano che tutti e quattro questi amici diventassero superstar dei loro rispettosi ambiti? Un attore pluripremiato, un temutissimo avvocato, un pittore e un famoso architetto si incontrano nella casa in campagna dei loro amici per ricordare i bei tempi andati mentre l'avvocato sta letteralmente passando le pene dell'inferno che sembrano non volerlo lasciare da quarant'anni a questa parte. Ma anche perché, mi chiedo, abbiamo davvero ancora bisogno di associare l'estrema ricchezza con la possibilità di una vita serena e soddisfacente? Davvero la nostra idea di successo è ancora il denaro? Che poi mi si potrebbe replicare: "Sì ma Fra Jude sta malissimo, non è un personaggio felice, gli hanno pure amputato le gambe!", ma a me non me ne frega un cazzo di questa replica perché di fatto c'ha tutto, è stato adottato a trent'anni da due persone che lo amano, sta col suo migliore amico che non fa che salvarlo da se stesso, ha una rete di supporto infinita, ha i soldi per soddisfare ogni suo prurito di culo, regalare una visita privata di tre ore all'Alhambra al ragazzo e permettersi le cure migliori che una persona possa desiderare in un paese in cui se non c'hai soldi non puoi fare niente. Di fatto mi sembra la solita americanata per cui se vuoi puoi e se non vuoi non puoi e l'unica vita worth living è una vita con i soldi. Quindi fastidio per queste vite ricchissime. Quanto ancora devo sopportare i racconti dei loro pranzi e della sofferenza di sto povero Jude? E perché poi?
Niente non so più cosa dire, queste sono le cose che mi stanno turbando, rant su A little life finito. lighthouse film kids a little life fangirl vibes in total tragedy daria dreams of rebellion don't go well with heterosexuality